La serata inizia con la lettera di dimissioni dalla carica di consigliere presentata dal Sindaco uscente Valentini, e da altri consiglieri, già prevista e data per scontata da tanti in caso di sconfitta dello stesso. Valentini presenta le dimissioni con la intuibile scusante di far largo ai giovani (l’assessore Molino non ci sembra poi così tanto giovane) e non prendendosi, come al solito negli ultimi tempi, le sue responsabilità, lasciando agli altri la nave che affonda nei momenti difficili.Ben più provocanti e incresciose sono le parole dello stesso Valentini nella sua letterina: egli parla di lealtà; questa, secondo lui, l’ha contraddistinto in tutti questi anni.
Scusi Sindaco uscente, ma noi Giovani Mafaldesi sinceramente crediamo che questo termine sia indebitamente adoperato, sia veramente troppo dura da digerire la parola lealtà, una ulteriore presa in giro per tutti i Mafaldesi, trovatisi come sempre non di fronte alla verità ma dinanzi alle tante menzogne che purtroppo hanno calcato questi ultimi mesi...altro che onestà e lealtà! E ieri sera se ne avuta nuovamente la conferma.
Come puntualmente ribadito dal Sindaco Riccioni, l’amministrazione uscente promise che il 6 e il 7 giugno Mafalda, tramite i suoi elettori, avrebbe avuto la possibilità di scegliere il suo futuro (dopo che il referendum popolare non era stato voluto dallo stesso Valentini), votando per Di Iulio e sostenendo così il famoso progetto dell’inceneritore, oppure votando la lista Insieme per Mafalda capeggiata da Egidio Riccioni rifiutando così una volta per tutte questo pazzesco progetto.Ebbene, come era ormai prevedibile, il Sindaco uscente insieme alla sua giunta, tutto ha fatto tranne che far scegliere ai cittadini di Mafalda la sua sorte. L’amministrazione uscente ha messo Mafalda davanti al fatto compiuto.
Per questo, caro consigliere dimissionario Valentini, caro dimissionario N.Masciulli, caro dimissionario A.Fabrizio, caro dimissionario P. Massimi, caro amico Paolo, abbiate la dignità di non parlare di lealtà e di non difendere quelle parole e quei comportamenti, perché fanno male a Mafalda e a tutti i Mafaldesi. In aggiunta, noi Giovani Mafaldesi vogliamo richiamare l’attenzione di Valentini dicendo che poteva, nei mesi scorsi, prendere inchiostro e calamaio e avere l’onere di rispondere alle tante lettere, ben più importanti, scritte dai giovani del suo amato paese, invece di quella singolare delle sue dimissioni.
Continuiamo riprendendo le parole del neo sindaco Egidio Riccioni, che, rammaricato, presenta la situazione che sta investendo Mafalda: “Per la nuova giunta è un momento difficile, stavano cercando di far entrare Mafalda in un vicolo cieco da cui si rischia di non poter uscire”. Egli poi parla di accelerazioni incredibili nell’iter procedurale e dei soldi volutamente ed incautamente spesi dall’amministrazione uscente per mettere in difficoltà Mafalda, e al contrario avvantaggiare Dafin e queste persone che si nascondono dietro una fiduciaria. Riccioni comunque è convinto che insieme alla sua squadra, riuscirà a fermare l’Inceneritore grazie anche alla consulenza di tutti i possibili esperti e al lavoro del pool di avvocati. Ribadisce che l’ulteriore accredito fatto dalla Dafin sarà accantonato e tutti i proventi non saranno nel modo più assoluto toccati perché ci sono cause in corso e perché Mafalda ha detto con forza NO alla centrale a biomasse in contrada Pianette. Invita tutta la cittadinanza a seguire gli sviluppi della vicenda, ad informarsi su tutti i particolari, facendo un augurio a tutti e prendendosi la responsabilità di rispettare Mafalda e le decisioni democratiche di tutti i Mafaldesi.
Brevi e interessanti anche gli interventi dei consiglieri e assessori, in modo particolare dell’assessore rosa Aurelia Spatocco che risponde per le rime ad uno stravagante Molino, seguito poi da Montano, i quali chiedono alla nuova amministrazione di portare avanti il “Progetto Mafalda”. Spatocco risponde affermando che Mafalda ha scelto il suo programma e che la nuova Amministrazione combatterà con tutte le sue forze per FERMARE L ’INCENERITORE.
Questo il riassunto della serata del primo insediamento: a noi Giovani Mafaldesi preme ribadire il comportamento scorretto dell’amministrazione uscente e fare il nostro sincero in bocca al lupo al lavoro della nuova squadra amministrativa che ci appoggerà per FERMARE L’INCENERITORE. Questo è l’obiettivo nostro e della stramaggioranza di Mafalda e con questo ideale proseguiremo la nostra lotta per fermare la centrale a biomasse, nonché la distilleria.
MAFALDA HA AVUTO UNA REAZIONE FORTE E CONTINUERA’ AD APPOGGIARE LA NOSTRA CAUSA, siamo certi e combatteremo con, ed eventualmente anche contro, la nuova amministrazione per far valere la volontà popolare. SIA CHIARO!!!
venerdì 26 giugno 2009
lunedì 8 giugno 2009
Cronaca di una morte annunciata: bye bye, centrale!
Le urne hanno emesso il loro verdetto: il "progetto Mafalda" è stato decisamente bocciato. MAFALDA HA SCELTO DI DIRE DI NO ALLA CENTRALE A BIOMASSE!!!
E' un grande risultato, per noi Giovani Mafaldesi, per tutti i mafaldesi e anche per i nostri amici dei paesi vicini.
E' un grande risultato, ma il pericolo centrale non è definitivamente scongiurato...
L' impegno dei Giovani Mafaldesi continua anche con la nuova amministrazione Riccioni (a cui vanno i nostri auguri perché faccia bene; auguri che facciamo anche al nostro amico Paolo perché la sua sia un' opposizione costruttiva); noi continueremo a vigilare sulle sorti del "Progetto Mafalda" e a fornirvi contributi sull' argomento biomasse.
E' un grande risultato, per noi Giovani Mafaldesi, per tutti i mafaldesi e anche per i nostri amici dei paesi vicini.
E' un grande risultato, ma il pericolo centrale non è definitivamente scongiurato...
L' impegno dei Giovani Mafaldesi continua anche con la nuova amministrazione Riccioni (a cui vanno i nostri auguri perché faccia bene; auguri che facciamo anche al nostro amico Paolo perché la sua sia un' opposizione costruttiva); noi continueremo a vigilare sulle sorti del "Progetto Mafalda" e a fornirvi contributi sull' argomento biomasse.
sabato 6 giugno 2009
L' ennesima prova.
Ci siamo. Sabato e domenica noi mafaldesi siamo chiamati alle urne non solo a scegliere la nuova amministrazione comunale ma anche a pronunciarci sulla sorte del "Progetto Mafalda" e della centrale a biomasse. Su quest' ultimo argomento, i Giovani Mafaldesi hanno più volte chiesto la possibilità di potersi pronunciare prima delle comunali, ma gli appelli per un referendum che coinvolgesse la cittadinanza sono rimasti inascoltati.
Vi diamo, allora, l' ennesima prova della validità delle nostre tesi, cioè della pericolosità delle centrali a biomasse. La speranza è, ancora una volta, quella di svegliare le coscienze di tutti.
Come nasce l’esigenza della costruzione di una centrale termoelettrica a biomasse?
Quali combustibili utilizza? Quali conseguenze comporta per l’ambiente e l’uomo?
Ne ha parlato il prof. Gianni Tamino, biologo membro del Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie.
Nel suo intervento ha più volte fatto riferimento al CIP6 e certificati verdi: può spiegarci in cosa consistono?
«Il CIP6 è un provvedimento con cui si incentiva l’energia prodotta da fonti rinnovabili e assimilate, consentendo di immetterla nella rete elettrica nazionale a un prezzo superiore al normale valore del mercato. Tali incentivi vengono addebitati sulla bolletta dei consumatori.
Le prime leggi per incentivare le forme rinnovabili vennero emanate nel 1991. Oggi l’energia elettrica da fonti rinnovabili viene pagata fino a 4 o 5 volte il suo valore. Al momento dell’approvazione del decreto vennero aggiunte le cosiddette “fonti assimilate” che oggi portano via la fetta più grossa di tutti gli incentivi.
Le principali sono le code di raffinazione del petrolio: in pratica un rifiuto tra i più inquinanti viene spacciato come rinnovabile e pagato un sacco di soldi. Un’altra fonte assimilata è l’energia elettrica prodotta dagli inceneritori: questo ha determinato l'aumento della produzione di rifiuti, motivo per il quale l’Italia è stata richiamata dall’Unione Europea.
Oggi ai CIP6 si sono affiancati i certificati bianchi e i certificati verdi, di cui tutti i nuovi impianti possono usufruire. I primi premiano il risparmio energetico e l’efficienza, i secondi riguardano le fonti rinnovabili, i rifiuti e le biomasse.
Per rinnovabili si intendono quelle fonti di energia utilizzate nel tempo e nello spazio in cui sono prodotte. Tenendo presente questa definizione, le centrali a biomasse a cui sono attribuiti certificati verdi utilizzano materie prime che non possono essere prodotte nella zona. Lo confermano differenti studi condotti dai prof. Giampietro, Ulgiati, Paletti, Pimmentel che arrivano alla stessa conclusione: in Italia per produrre il 10% di energia da biomasse avremmo bisogno di tre volte la superficie agricola nazionale.
La sostenibilità si ha quando il bilancio energetico è positivo, la risorsa si riproduce nel tempo di utilizzo e il bilancio dell’anidride carbonica (CO2) è quantomeno in pareggio».
Tutti i documenti delle centrali a biomasse sostengono che le emissioni di anidride carbonica (CO2) è pari a zero perché la quantità emessa durante la combustione è pari a quella assorbita dalla pianta durante il processo di crescita, attraverso la fotosintesi.
(Questa domanda è fatta in risposta a quanto affermava Daniele Barbone nella conferenza stampa di presentazione del "Progetto Mafalda".)
«È vero. Ma alla CO2 che si ottiene bruciando devo aggiungere la CO2 consumata per ottenere la pianta, più quella consumata per trasportare dall’Estero l’olio su una nave sino al porto e dal porto alla centrale: il bilancio non è più in pareggio. Ma non solo.
Se, come nel caso di soia, girasole, colza, il consumo di petrolio e metano utilizzati per produrre fertilizzanti, per alimentare i mezzi agricoli e per trasportare i materiali è uguale o superiore all’energia che ottengo dall’olio è evidente che la CO2 emessa è maggiore di quella assorbita dalla pianta e quindi l’energia ottenuta da una centrale è inferiore a quella che consumata a monte. A conti fatti si consumerebbe meno energia utilizzando come combustibile il petrolio.
Siccome tutte le grandi centrali a biomasse hanno questo difetto, le biomasse si possono utilizzare solo con scarti di attività agricole, forestali, zootecniche, rifiuti organici al fine di realizzare piccoli impianti a biogas con produzione finale di energia sottoforma di metano e di compost destinato all’agricoltura.
Le biomasse sono significativamente interessanti se si rende l’agricoltura autonoma dai consumi energetici: è questa la grande sfida, non certo quella di produrre energia elettrica che non avrebbe nessun vantaggio economico se non venisse pagata in maniera “drogata” con i soldi dei cittadini.
Il bilancio economico passivo di queste centrali, diventa attivo grazie ai certificati verdi, come dichiarato dalle stesse aziende.
Questi impianti sono spesso incentivati da fondi dell’Unione Europea. Vengono utilizzati soldi pubblici per costruirli e acquistare l’energia elettrica in modo assurdo: il cittadino paga per avere energia elettrica da fonti in realtà non rinnovabili, per avere inquinamento ed effetto serra, in quanto l’olio vegetale inquina più del gasolio.
Inoltre, nella combustione degli oli vegetali vengono rilasciate polveri sottili, formaldeide e acroleina, responsabile del caratteristico odore di frittura».
Le emissioni di ossidi di azoto e carbonio – stando ai progettisti – verrebbero abbattute con l’installazione di particolari filtri.
«Un filtro è un dispositivo che non elimina l’inquinamento, ma lo sposta. Secondo il principio di Lavoisier "in natura nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma". Un filtro va periodicamente pulito: dove saranno conferiti i residui? Si dimentica di dire che c’è bisogno di una discarica per le ceneri, senza contare il calore disperso. La vendita di energia elettrica è un guadagno, la distribuzione di calore, al contrario, è una perdita se la condotta supera una certa distanza».
Con la depurazione dei fumi, le concentrazioni, però, rispettano la norma.
«Spesso i progettisti sostengono: "saremo sotto le concentrazioni", ma quello che conta da un punto di vista dell’impatto non è il rispetto della concentrazione, ma il rispetto delle quantità totali di emissioni compatibili con il territorio, misurate per il numero degli anni in cui permangono nell’ambiente.
Quindi non ci si deve accontentare della concentrazione per metro cubo ma conoscere il totale annuo per gli anni di vita della centrale, moltiplicando la concentrazione per tutti i milioni, miliardi di metri cubi emessi. Lo stesso vale per il monossido di carbonio, tossico, e gli ossidi di azoto, anch’essi tossici e tra i responsabili delle piogge acide. Negli anni si accumulano, così, migliaia di tonnellate di emissioni.
Nel caso della diossina abbiamo concentrazioni basse, ma è una sostanza che una emivita (durata) di vent’anni, si accumula negli organismi ed entra nella catena alimentare, arrivando al latte materno. Se calcoliamo la produzione di diossina per tutto l’arco di vita della centrale otterremo “n” grammi. Ma 1 grammo come spiegavo nella conferenza è la dose massima ammessa per 4,5 milioni di abitanti».
Nel suo intervento è stato fortemente critico verso il combustibile generalmente utilizzato nelle centrali a biomasse, l’olio di palma.
«Per fare spazio alle piantagioni di olio di palma si distruggono le foreste, le quali assorbono dieci volte più CO2 rispetto a una coltivazione e, nel caso di piantagioni convertite a palma, si sottraggono terreni destinati all’alimentazione determinando carestie.
L’inviato speciale dell’ONU per il diritto al cibo Jean Ziegler a questo proposito ha dichiarato: "I biocarburanti sono un crimine contro l’umanità".
Prodi ha sostenuto di recente su la Repubblica: "Non possiamo permetterci carburanti anziché cibo". Mi chiedo: perché queste scelte sono state fatte dall’Unione Europea sotto la sua presidenza?
Tra gli oli vegetali bruciati ci possono essere, inoltre, anche gli oli esausti, cioè rifiuti della produzione alimentare. Il guadagno per queste centrali non c’è solo dalla vendita dell’energia elettrica, ma dal fatto che l’azienda è pagata per bruciare questi scarti. Non solo queste aziende risparmiano sulla materia prima, ma vengono pagate per smaltirla».
Durante la conferenza si è parlato dell’ubicazione di questi impianti nel territorio agricolo.
«La normativa nazionale dice di no ad impianti industriali in aree agricole a meno di una modifica del piano regolatore. La V.I.A. (valutazione di impatto ambientale) permette di sottoporre un progetto a studio di impatto ambientale. Questo studio è eseguito da professionisti che apponendo la propria firma potrebbero un domani essere denunciati dalla popolazione in caso di eventuali danni».
Quali conseguenze può avere secondo lei il funzionamento di una centrale a biomasse in territorio agricolo?
«Alle conseguenze precedentemente citate si devono aggiungere quelle del danno d’immagine.
Chi vorrà acquistare prodotti biologici, D.O.P. e altri prodotti tipici provenienti da zone in cui sorgono centrali del genere? Senza contare poi che in certi casi, dopo analisi di laboratorio si potrebbero trovare valori fuori norma, specialmente riguardo le polveri sottili e la diossina. In questo caso i sacrifici e il lavoro dei coltivatori verrebbero vanificati».
Abbiamo parlato di combustibili ed emissioni. Quali altre conseguenze a suo avviso comporta una centrale a biomasse?
«Un altro elemento è costituito dal rumore. Si tratta, infatti, di motori marini modificati al cui rumore si somma quello derivato dai mezzi di trasporto che approvvigionano la centrale. Nella provincia di Pesaro e Urbino un impianto è stato bloccato proprio per questo motivo.
Non va sottovalutato anche l’inquinamento elettromagnetico causato dai tralicci che sorgono per trasportare l’energia elettrica. Inoltre, bisogna considerare che ad essere degradato è anche il paesaggio e la città a causa dei fumi che intaccano i monumenti. Posso affermare che queste centrali riducono sia il territorio sia la qualità del territorio».
In che misura una centrale influisce sulla crescita occupazionale?
«In realtà queste centrali assorbono pochissimi posti di lavoro, al massimo una decina di unità essendo controllate con sistemi informatici».
E l’indotto?
«L’indotto è rappresentato dagli autotrasportatori che lavorerebbero a prescindere dal tipo di prodotti trasportati e dalle imprese edili che terminata la costruzione esauriscono il loro compito. Si tratta di una delle attività a minore intensità occupazionale (intesa come rapporto tra capitale investito e posti di lavoro) al contrario degli insediamenti che utilizzano pannelli fotovoltaici».
Vi diamo, allora, l' ennesima prova della validità delle nostre tesi, cioè della pericolosità delle centrali a biomasse. La speranza è, ancora una volta, quella di svegliare le coscienze di tutti.
Come nasce l’esigenza della costruzione di una centrale termoelettrica a biomasse?
Quali combustibili utilizza? Quali conseguenze comporta per l’ambiente e l’uomo?
Ne ha parlato il prof. Gianni Tamino, biologo membro del Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie.
Nel suo intervento ha più volte fatto riferimento al CIP6 e certificati verdi: può spiegarci in cosa consistono?
«Il CIP6 è un provvedimento con cui si incentiva l’energia prodotta da fonti rinnovabili e assimilate, consentendo di immetterla nella rete elettrica nazionale a un prezzo superiore al normale valore del mercato. Tali incentivi vengono addebitati sulla bolletta dei consumatori.
Le prime leggi per incentivare le forme rinnovabili vennero emanate nel 1991. Oggi l’energia elettrica da fonti rinnovabili viene pagata fino a 4 o 5 volte il suo valore. Al momento dell’approvazione del decreto vennero aggiunte le cosiddette “fonti assimilate” che oggi portano via la fetta più grossa di tutti gli incentivi.
Le principali sono le code di raffinazione del petrolio: in pratica un rifiuto tra i più inquinanti viene spacciato come rinnovabile e pagato un sacco di soldi. Un’altra fonte assimilata è l’energia elettrica prodotta dagli inceneritori: questo ha determinato l'aumento della produzione di rifiuti, motivo per il quale l’Italia è stata richiamata dall’Unione Europea.
Oggi ai CIP6 si sono affiancati i certificati bianchi e i certificati verdi, di cui tutti i nuovi impianti possono usufruire. I primi premiano il risparmio energetico e l’efficienza, i secondi riguardano le fonti rinnovabili, i rifiuti e le biomasse.
Per rinnovabili si intendono quelle fonti di energia utilizzate nel tempo e nello spazio in cui sono prodotte. Tenendo presente questa definizione, le centrali a biomasse a cui sono attribuiti certificati verdi utilizzano materie prime che non possono essere prodotte nella zona. Lo confermano differenti studi condotti dai prof. Giampietro, Ulgiati, Paletti, Pimmentel che arrivano alla stessa conclusione: in Italia per produrre il 10% di energia da biomasse avremmo bisogno di tre volte la superficie agricola nazionale.
La sostenibilità si ha quando il bilancio energetico è positivo, la risorsa si riproduce nel tempo di utilizzo e il bilancio dell’anidride carbonica (CO2) è quantomeno in pareggio».
Tutti i documenti delle centrali a biomasse sostengono che le emissioni di anidride carbonica (CO2) è pari a zero perché la quantità emessa durante la combustione è pari a quella assorbita dalla pianta durante il processo di crescita, attraverso la fotosintesi.
(Questa domanda è fatta in risposta a quanto affermava Daniele Barbone nella conferenza stampa di presentazione del "Progetto Mafalda".)
«È vero. Ma alla CO2 che si ottiene bruciando devo aggiungere la CO2 consumata per ottenere la pianta, più quella consumata per trasportare dall’Estero l’olio su una nave sino al porto e dal porto alla centrale: il bilancio non è più in pareggio. Ma non solo.
Se, come nel caso di soia, girasole, colza, il consumo di petrolio e metano utilizzati per produrre fertilizzanti, per alimentare i mezzi agricoli e per trasportare i materiali è uguale o superiore all’energia che ottengo dall’olio è evidente che la CO2 emessa è maggiore di quella assorbita dalla pianta e quindi l’energia ottenuta da una centrale è inferiore a quella che consumata a monte. A conti fatti si consumerebbe meno energia utilizzando come combustibile il petrolio.
Siccome tutte le grandi centrali a biomasse hanno questo difetto, le biomasse si possono utilizzare solo con scarti di attività agricole, forestali, zootecniche, rifiuti organici al fine di realizzare piccoli impianti a biogas con produzione finale di energia sottoforma di metano e di compost destinato all’agricoltura.
Le biomasse sono significativamente interessanti se si rende l’agricoltura autonoma dai consumi energetici: è questa la grande sfida, non certo quella di produrre energia elettrica che non avrebbe nessun vantaggio economico se non venisse pagata in maniera “drogata” con i soldi dei cittadini.
Il bilancio economico passivo di queste centrali, diventa attivo grazie ai certificati verdi, come dichiarato dalle stesse aziende.
Questi impianti sono spesso incentivati da fondi dell’Unione Europea. Vengono utilizzati soldi pubblici per costruirli e acquistare l’energia elettrica in modo assurdo: il cittadino paga per avere energia elettrica da fonti in realtà non rinnovabili, per avere inquinamento ed effetto serra, in quanto l’olio vegetale inquina più del gasolio.
Inoltre, nella combustione degli oli vegetali vengono rilasciate polveri sottili, formaldeide e acroleina, responsabile del caratteristico odore di frittura».
Le emissioni di ossidi di azoto e carbonio – stando ai progettisti – verrebbero abbattute con l’installazione di particolari filtri.
«Un filtro è un dispositivo che non elimina l’inquinamento, ma lo sposta. Secondo il principio di Lavoisier "in natura nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma". Un filtro va periodicamente pulito: dove saranno conferiti i residui? Si dimentica di dire che c’è bisogno di una discarica per le ceneri, senza contare il calore disperso. La vendita di energia elettrica è un guadagno, la distribuzione di calore, al contrario, è una perdita se la condotta supera una certa distanza».
Con la depurazione dei fumi, le concentrazioni, però, rispettano la norma.
«Spesso i progettisti sostengono: "saremo sotto le concentrazioni", ma quello che conta da un punto di vista dell’impatto non è il rispetto della concentrazione, ma il rispetto delle quantità totali di emissioni compatibili con il territorio, misurate per il numero degli anni in cui permangono nell’ambiente.
Quindi non ci si deve accontentare della concentrazione per metro cubo ma conoscere il totale annuo per gli anni di vita della centrale, moltiplicando la concentrazione per tutti i milioni, miliardi di metri cubi emessi. Lo stesso vale per il monossido di carbonio, tossico, e gli ossidi di azoto, anch’essi tossici e tra i responsabili delle piogge acide. Negli anni si accumulano, così, migliaia di tonnellate di emissioni.
Nel caso della diossina abbiamo concentrazioni basse, ma è una sostanza che una emivita (durata) di vent’anni, si accumula negli organismi ed entra nella catena alimentare, arrivando al latte materno. Se calcoliamo la produzione di diossina per tutto l’arco di vita della centrale otterremo “n” grammi. Ma 1 grammo come spiegavo nella conferenza è la dose massima ammessa per 4,5 milioni di abitanti».
Nel suo intervento è stato fortemente critico verso il combustibile generalmente utilizzato nelle centrali a biomasse, l’olio di palma.
«Per fare spazio alle piantagioni di olio di palma si distruggono le foreste, le quali assorbono dieci volte più CO2 rispetto a una coltivazione e, nel caso di piantagioni convertite a palma, si sottraggono terreni destinati all’alimentazione determinando carestie.
L’inviato speciale dell’ONU per il diritto al cibo Jean Ziegler a questo proposito ha dichiarato: "I biocarburanti sono un crimine contro l’umanità".
Prodi ha sostenuto di recente su la Repubblica: "Non possiamo permetterci carburanti anziché cibo". Mi chiedo: perché queste scelte sono state fatte dall’Unione Europea sotto la sua presidenza?
Tra gli oli vegetali bruciati ci possono essere, inoltre, anche gli oli esausti, cioè rifiuti della produzione alimentare. Il guadagno per queste centrali non c’è solo dalla vendita dell’energia elettrica, ma dal fatto che l’azienda è pagata per bruciare questi scarti. Non solo queste aziende risparmiano sulla materia prima, ma vengono pagate per smaltirla».
Durante la conferenza si è parlato dell’ubicazione di questi impianti nel territorio agricolo.
«La normativa nazionale dice di no ad impianti industriali in aree agricole a meno di una modifica del piano regolatore. La V.I.A. (valutazione di impatto ambientale) permette di sottoporre un progetto a studio di impatto ambientale. Questo studio è eseguito da professionisti che apponendo la propria firma potrebbero un domani essere denunciati dalla popolazione in caso di eventuali danni».
Quali conseguenze può avere secondo lei il funzionamento di una centrale a biomasse in territorio agricolo?
«Alle conseguenze precedentemente citate si devono aggiungere quelle del danno d’immagine.
Chi vorrà acquistare prodotti biologici, D.O.P. e altri prodotti tipici provenienti da zone in cui sorgono centrali del genere? Senza contare poi che in certi casi, dopo analisi di laboratorio si potrebbero trovare valori fuori norma, specialmente riguardo le polveri sottili e la diossina. In questo caso i sacrifici e il lavoro dei coltivatori verrebbero vanificati».
Abbiamo parlato di combustibili ed emissioni. Quali altre conseguenze a suo avviso comporta una centrale a biomasse?
«Un altro elemento è costituito dal rumore. Si tratta, infatti, di motori marini modificati al cui rumore si somma quello derivato dai mezzi di trasporto che approvvigionano la centrale. Nella provincia di Pesaro e Urbino un impianto è stato bloccato proprio per questo motivo.
Non va sottovalutato anche l’inquinamento elettromagnetico causato dai tralicci che sorgono per trasportare l’energia elettrica. Inoltre, bisogna considerare che ad essere degradato è anche il paesaggio e la città a causa dei fumi che intaccano i monumenti. Posso affermare che queste centrali riducono sia il territorio sia la qualità del territorio».
In che misura una centrale influisce sulla crescita occupazionale?
«In realtà queste centrali assorbono pochissimi posti di lavoro, al massimo una decina di unità essendo controllate con sistemi informatici».
E l’indotto?
«L’indotto è rappresentato dagli autotrasportatori che lavorerebbero a prescindere dal tipo di prodotti trasportati e dalle imprese edili che terminata la costruzione esauriscono il loro compito. Si tratta di una delle attività a minore intensità occupazionale (intesa come rapporto tra capitale investito e posti di lavoro) al contrario degli insediamenti che utilizzano pannelli fotovoltaici».
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